Quando a qualcuno ho riferito il titolo di questo racconto, mi hanno subito domandato: Come mai hai deciso di chiamarlo “La terra dell’odio”? M’hanno fatto così osservare che viviamo in un bel territorio che c’invidiano in tutta la penisola, meta di migliaia di turisti. M’hanno spiegato che abbiamo delle splendide spiagge, che la gente è ospitale, che la cucina è ottima, insomma, m’hanno decantato le meraviglie dell’Ogliastra, che per altro conosco già e talvolta descrivo nello stesso libro. La domanda, tuttavia, resta: perché questo titolo? A questo quesito non so rispondere, se non scomodando uno dei più importanti poeti della letteratura mondiale. Una famosa e bella poesia di Pablo Neruda s’intitola “Spiego alcune cose.” Questa è stata scritta durante la Guerra Civile in Spagna, quando il temibile esercito del generale Franco, con l’appoggio criminale dei nazifascisti, bombardava ed assaltava i villaggi e le splendide città spagnole causando decine e decine di morti. All’inizio della sua poesia Neruda s’immedesima nei lettori, che gli domandano perché nei suoi versi non parla dei fiori o, magari, della bellezza della stessa Spagna. La sua risposta conclusiva è questa:
venite a vedere il sangue per le strade, venite a vedere il sangue per le strade, venite a vedere il sangue per le strade!
M’è parso di poter cogliere questo personalissimo significato: è faticoso parlare della bellezza delle cose che ti circondano, quando intorno a te c’è qualcosa che t’opprime, ed inaridisce la tua vena letteraria (nel caso di Neruda erano i morti, od i fiumi di sangue che vedeva scorrere nelle strade della sua città).Allo stesso modo, avrei potuto intitolare questo romanzo “La terra delle meraviglie, La terra del riscatto, La terra del vino” etc… A me, tuttavia, occorreva parlare d’altre cose. Certo, avete senz’altro tutte le ragioni di questo mondo, avrei potuto parlare del mare, oppure dei tacchi calcarei che s’elevano imperiosi alle spalle dei paesi. Avrei potuto parlare delle tante bellezze archeologiche di questa terra meravigliosa, avrei potuto parlarvi delle valli che s’aprono improvvise tra le montagne, avrei potuto parlarvi del coraggio di tante persone, piegate dalla fatica o dal trascorrere inesorabile degli anni. Avrei potuto parlare di tutte queste cose ma anch’io, ribadisco, ho il medesimo problema del grande Neruda.
Quando ero piccolo (avrò avuto all’incirca otto o nove anni) un evento scardinò la tranquillità del paese in cui vivevo. Durante la notte un potente ordigno distrusse la casa dell’allora Sindaco Piero Carta, oggi Presidente della Provincia dell’Ogliastra. Insieme ai miei amici andai a vedere cos’era accaduto, e mi trovai dinanzi ad uno spettacolo spaventoso. La casa aveva subito dei danni incalcolabili, i Carabinieri s’affrettavano a mettere a posto i propri attrezzi, i compaesani s’accalcavano per vedere cos’era accaduto. Vetri frantumati, calcinacci per la strada, confusione. Non potevamo capire i motivi di quell’evento drammatico, ma anche s’eravamo solo dei bambini comprendevamo che era successo qualcosa di terribile…Ricordo come se fosse soltanto ieri l’appuntamento nella Piazza Regaliu, quella stessa piazza in cui in tanti ci vedevamo per organizzare delle interminabili sfide a pallone. Le saracinesche dei negozi era rigorosamente abbassate, in segno di lutto. Sul palco (nel periodo si celebrava di certo una festa religiosa) c’erano il Sindaco ed altre autorità. La cosa che più mi colpì, tuttavia, era l’atmosfera carica di tristezza e di sgomento, i visi cinerei dei miei compaesani, il silenzio plumbeo che avvolgeva interamente quell’insieme di persone.Col trascorrere degli anni sono cresciuto, ed ho capito il motivo per cui avvengono simili eventi. Ho visto la porta del mio Comune più volte divelta dalle cariche di tritolo, sui giornali ho letto d’omicidi inspiegabili, spesso ai danni di giovani, oppure di sparizioni ancora più oscure. Ho visto Comuni per lungo tempo commissariati ed amministratori che, nonostante le minacce, sono andati avanti nel loro mandato sfidando le bombe, i pallettoni, o l’incendio delle proprie abitazioni. Mentre scrivo queste righe (oggi è il 30 Dicembre 2007) la Sardegna piange la scomparsa del compagno Peppino Marotto, barbaramente assassinato nel suo paese natio, per cui si è speso durante tutta la sua esistenza. Marotto è stato protagonista di numerose battaglie di giustizia sociale (tra l’altro, partecipò alla ribellione di Pratobello) e i suoi versi campeggiano nei bellissimi murales famosi in tutto il mondo. Quest’omicidio, ad ogni modo, non è altro che uno dei tanti fatti che sconvolgono questa povera terra. Pochi giorni fa, per esempio, un ex Sindaco di Jerzu, Luciano Mereu, s’è visto “recapitare” una bomba proprio alla vigilia del Natale. Per crimini come questi che ho citato (ma ne potrei riportare decine), ho deciso d’intitolare questo libro “La terra dell’odio”.
Nonostante il titolo, che riflette alcune vicende narrate nel libro, ho pensato di raccontare “l’esistere” in uno dei tanti paesi della Sardegna. A chi lo leggerà, potrà sembrare che lo svolgersi degli eventi abbia un unico teatro. In realtà, non è così. Alcuni luoghi sono senz’altro ben individuabili, ma gli eventi, le situazioni descritte, le caratteristiche degli abitanti, sono proprie di tante Comunità della Sardegna, che come ho poc’anzi detto, in un modo o nell’altro si rassomigliano tutte.Benché ci siano delle ovvie specificità, ogni paese dell’interno Sardo ha dei tratti comuni, che li rendono simili tanto negli aspetti positivi quanto in quelli negativi. Si, perché le Comunità della nostra isola sono dei piccoli mondi dove s’elaborano delle regole a cui tutti devono attenersi. Nel paese non esiste l’indifferenza della città: il paese t’osserva, ti giudica, afferma quali sono i comportamenti corretti oppure quelli sbagliati: un giudizio che non ha nulla a che vedere con le norme del diritto civile (o penale) a cui siamo avvezzi. Chi non si attiene a queste regole, codificate negli anni se non nei secoli, è considerato un eccentrico, e talvolta è messo da parte. Chi può avere gusti o sensibilità particolari può essere additato con scherno: la legge del branco, da che mondo e mondo, opera anche nella nostra terra. Salvatore, il ragazzo protagonista di questa storia, s’accorge d’essere prigioniero di queste regole, e cerca di spezzare le proprie catene mentali anche grazie alle parole del suo amico Giuseppe, che cerca d’introdurlo ad una mentalità pacifica che va al di là dei miti della balentia. Queste catene, tuttavia, sono robuste e difficili da rompere, perché quando taluni “schemi” fanno parte del tuo modo di pensare (e del tuo bagaglio culturale) non è semplice individuare e praticare nuovi modelli di comportamento. Crescere in un paese è come crescere in una grande famiglia, ti adegui al giudizio dei tuoi compaesani anche perché loro sono le persone che stimi, e di cui vorresti il rispetto. Agisci secondo regole che non t’appartengono, e spesso lo fai senza domandarti la ragione.La storia s’evolve in una piccola comunità ogliastrina, ed i protagonisti devono far fronte a nuovi ed antichi problemi della nostra isola. La mancanza strutturale di lavoro, con la relativa necessità d’emigrare all’inseguimento d’una speranza, la speculazione edilizia, che rischia di cancellare un patrimonio naturalistico d’immenso valore, una violenza sistematica sull’ambiente e sugli uomini. Al di là di tutto questo, questa è sopratutto la storia di ragazzi normali (sul concetto di normalità, poi, si potrebbe aprire un dibattito), che hanno voglia di vivere, amare, conoscere e discutere. Dunque, pur intrecciato alle singole esperienze del panorama politico e sociale dei nostri giorni, il romanzo narra della vita di questi giovani che ho forse conosciuto, che tra un divertimento e l’altro (od un problema e l’altro), si ritrovano a crescere insieme, e ad affrontare insieme drammi e sogni. Questo libro non contiene un messaggio preciso, forse vuole essere un invito all’emancipazione, alla libertà e alla rottura di schemi precostituiti. Non può essere né la mentalità d’un paese, né una religione, né una famiglia o un’ideologia ad indicarci come dobbiamo pensare, e come dobbiamo agire. Noi e noi soltanto possiamo individuare e scegliere le regole in cui vogliamo credere.
Con affetto
Vincenzo Maria D'Ascanio.