giovedì 24 gennaio 2008

La prima pagina


Non saprei spiegare, a chi me lo dovesse domandare, le ragioni per cui ho deciso di raccontare questa storia. Uno dei motivi è farvi conoscere l’esperienza di quattro miei amici, e parlarvi di una serie d’episodi che non ho mai confessato nemmeno alle persone più fidate. Il racconto ha come teatro un piccolo paese della Sardegna, il mio paese. Questo si trova negli irregolari e misteriosi territori dell’Ogliastra, una zona isolata e selvaggia, che s’estende su buona parte della costa orientale per arrivare sino agli interni territori dell’isola.
Da quel paesetto arrampicato sulle colline manco da un po’ di tempo e vi ritorno di tanto in tanto, per rimanervi soltanto pochi giorni. Per diverse ragioni ora vivo in città, lontano dai boschi e dalle montagne, dalle piazze in cui giocavo da bambino a pallone, dalle strette e tortuose stradine, dalla vista del mare dal balcone di casa e dall’antico colore delle vigne in Autunno. Questa lontananza, ad ogni modo, ha reso ancora più importanti i momenti che ora trascorro a casa, e tutto ciò che mi circonda m’appare più bello di quando vi vivevo regolarmente. In questi periodi faccio delle lunghe passeggiate, rivivendo con la memoria tutti i ricordi che riposano nella mia coscienza. Ho tenuto nascosta la storia dei miei quattro compaesani per troppo tempo, e ritengo sia arrivato il momento di parlarne. Portarsi certi pesi a lungo non fa bene, anche se talvolta qualche verità può risultare scomoda.
Quell’anno in Sardegna c’era stata una Primavera torrida, quasi senza precedenti. Presidente e Consiglio regionale avevano chiesto lo stato di calamità naturale al Governo. Il caldo aveva causato dei gravi problemi all’agricoltura e procurato dei seri danni ai contadini, che si riunivano frequentemente a Cagliari per manifestare il proprio malcontento. Quelli non erano anni facili per chi viveva in Sardegna. La siccità imperversava impietosa sulla popolazione, oltre che sul bestiame e sulle coltivazioni. La crisi delle campagne aveva costretto tanti giovani ad emigrare, perché non si riuscivano più a trovare le già scarse “giornate” di lavoro, ovviamente “in nero”. C’erano altre persone, tuttavia, che non avevano intenzione d’andarsene, anche perché non avevano altro posto dove andare.

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