La Terra dell’odio, l’ultima fatica letteraria di Vincenzo D’Ascanio, è proprio un bel romanzo. Lo apri e parte il racconto per immagini, suggestioni probabilmente autobiografiche, ricordi che si miscelano alla fantasia, un gomitolo che si srotola pian piano, attraverso un percorso coerente e fluido.Sinceramente carico di amore per il proprio paese, mette a nudo quel legame forte ed indissolubile con la propria terra, le radici che diventano sempre più forti quanto più si è distanti dalle proprie origini.Sullo sfondo di un racconto che non è, né vuole essere, politico o sociologico, vi è il nostro paese, i nostri paesi, la nostra realtà. Quel complesso, articolato, contradditorio ed affascinante intreccio che sono le nostre comunità. I microcosmi, non le realtà metropolitane talvolta omologanti e totalizzanti, ma il lento scorrere del tempo scandito dalla quotidianità, dai profumi e colori della vita reale ancora non intrappolata nella rete virtuale e alienante di internet.Da pubblico amministratore non posso fare a meno di notare che viene anche affrontato il tema della sicurezza. La bomba che irrompe e drammaticamente spezza il silenzio gioioso di una notte di festa, uno squarcio dolorosamente profondo nelle nostre coscienze. L’esplosione di una bomba che ci riporta alla mente quanto è difficile e rischioso, talvolta, amministrare le nostre realtà.Da politico (mi spiace, ci ricasco sempre!) e da Sindaco non posso fare a meno di evidenziare che la difficoltà di amministrare i nostri paesi non discende dalla “paura”. La bomba non è solo quella che si fabbrica con la polvere da sparo. Le bombe sono anche le riprovevoli testimonianze di una “certa politica” miope e distruttiva che, perseguendo solo interessi particolari e “partito-lari”, impedisce alle nostre comunità di realizzare appieno le proprie potenzialità, di svilupparsi armoniosamente, di crescere camminando insieme.Ritorniamo al libro. Esso è un racconto generazionale. Sono pagine, dunque, nelle quali non si legge semplicemente una storia individuale o di un gruppo di amici ma quella di una generazione e di una fase della vita.Mi hanno favorevolmente colpito le pagine dedicate alla crescita personale e collettiva che è quella di tutti i giovani di allora. La scoperta della vita, i primi incerti sentimenti, i tabù da infrangere, i luoghi comuni e i pregiudizi, la ritualità e le trasgressioni, l’estate come stagione-crocevia, le paure e i desideri, la musica e le letture, la famiglia e il bar, insomma le cose normali che si fanno a quell’età.Ma anche il “sogno” di un lavoro stabile, il dramma dell’emigrazione, la precarietà come tratto distintivo di una generazione che per la prima volta nel dopoguerra vivrà peggio dei propri genitori. Insomma un romanzo vero, si direbbe neo-neorealista. La vita mostrata nella sua complessa ed indecifrabile misteriosità ma anche nella sua più cruda e misera realtà.Riguardare il proprio passato non significa solo riappropriarsi di emozioni e ancor meno rifugiarsi in artificiali voli nostalgici o puerili sentimentalismi ma significa coltivare il futuro. Avere il coraggio di raccontarlo, pur stemperandolo in un romanzo, significa donarlo anche agli altri.Vincenzo D’Ascanio è già bravo e crescerà ancora. Non gli mancano talento, coraggio, abnegazione, determinazione e passione. Non sono solito dare consigli ma gli suggerisco di seguire sempre se stesso, i suoi desideri, le sue aspirazioni e le sue ambizioni. In realtà credo che lo stia già facendo. Allora permettetemi di augurargli di realizzarli, se lo merita.
Jerzu, 15 Marzo 2007Marcello Piroddi- Sindaco di Jerzu
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